Paparucci

21 ottobre 2016

997polenta-fagioli-salsiccia2Nella cucina reggiana c’è una preparazione a base di polenta condita con cotiche e fagioli e poi fritta.
In montagna si chiama “cazzagai” e mia mamma invece la definiva “manèin”.
Nel carpigiano si usa un altro nome che suona circa “paparucci”.
Un tempo rappresentavano un piatto completo, oggi vengono serviti come sfizioso antipasto in pranzi nostalgici.

Questi non li ho preparati io, mi sono trovata un bel piatto di polenta condita già pronta per essere fritta.
Non posso dare la ricetta, ma gustando il risultato abbiamo stabilito che la polenta era condita con fagioli e salsiccia.
La cuoca è carpigiana, quindi sono “paparucci”.
In inverno voglio provarci anche io. I miei saranno “manèin”, come faceva mia mamma!

60 pensieri su “Paparucci

  1. Neda

    Nel Veneto mescolavano i fagioli borlotti cotti insieme alla polenta fresca, poi la lasciavano raffreddare e la tagliavano a fette facendola abbrustolire sopra la griglia del camino, sulle brace. Polenta fasoà.

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      1. Neda

        Credo proprio che sia con le cotiche che con la salsiccia, sia ancora più buona.
        Quando ero bambina mi piaceva molto la cotica infilata su un forchettone e abbrustolita al calore delle brace, come pure la crosta di grana padano o di parmigiano abbrustolita allo stesso modo, erano saporiti e croccanti, una vera leccornia.

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      2. Neda

        Da noi, i ritagli di sfoglia sulla piastra della stufa, cosparse poi di zucchero, le chiamavamo “ofèle”. Ma le vere “ofèle” mantovane erano fatte da un dischetto di pasta frolla, piegato a mezzaluna, farcito di pasta plumcake che conteneva fra gli ingredienti anche il vincotto, cotte al forno, cosparse di zucchero a velo, sostituivano le brioches moderne. Si trovavano solo nelle pasticcerie più signorili, perciò, a noi bambini contadini la nonna ci dava i ritagli di pasta quando faceva la sfoglia.

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      3. Neda

        I disoccupati erano delle figurine fatte di liquirizia gommosa, ma duretta. Piccoli omini, cagnolini, ranocchiette, pesciolini, ricordo delle locomotive o altri oggettini, delle piccole maschere esotiche, lunghi come la falange del mignolo di un bambino. Costavano una lira l’uno. Perché si chiamassero disoccupati non te lo so dire.

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  2. Paola

    Nonostante le tracce emiliane, è un piatto che non conosco. Anzi, nella “mia” zona la polenta non si usa proprio. Quindi sono ancora più curiosa. Quanto alle lingue, se volete vi do un saggio del mio genovese, anzi, ho appena conosciuto un tipo con il quale mi scrivo in dialetto (sul blog di una terza persona, poveretta)

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      1. Paola

        Il genovese antico è quasi incomprensibile. C’è un canale tv in Liguria dove parlano solo in dialetto, e una trasmissione apposta dove un esperto spiega questi termini ormai in disuso

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